Prima invernale sulle Pale di San Lucano
 Ivo Ferrari, l'alpinista bergamasco dopo la scalata
 Ivo Ferrari e Stefano Pelucchi sulle Pale di San Lucano
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Ferrari e Pelucchi hanno scalato la via Augusto sul solitario gruppo montuoso
« La roccia si presenta bella e solida, ma una delle difficoltà maggiori è costituita senza dubbio dal forte innevamento »
AGORDO
C'è sempre spazio sulle Dolomiti per impegnative ed inedite imprese alpinistiche intraprese nei rigori
della stagione fredda: proprio un mese addietro le Pale di
San Lucano, romantico e solitario gruppo montuoso a
due passi dal monte Agner e dalla Civetta, sono state teatro di una prima invernale ad opera dei due scalatori bergamaschi Ivo Ferrari e Stefano Pelucchi. L'impresa si è
svolta nelle giornate dell'8 ed il 9 febbraio, quando i due
alpinisti hanno salito la via Augusto. Il percorso, tracciato sullo
spigolo nord-est del campanile della Besauzega, venne
aperto per la prima volta nel
1982 da Ilio De Biasio, che volle battezzarlo con il nome del
padre, e nel 1995 ha già registrato la prima ripetizione in
solitaria dello stesso Ivo Ferrari. La via
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presenta significative difficoltà tecniche, e dopo
uno zoccolo iniziale di 350 metri, si sviluppa lungo 600 metri complessivi con passaggi
fino al VI grado. «A causa della neve abbiamo impiegato
cinque ore solo per raggiungere la base della via», racconta
Ivo Ferrari rievocando le prime fasi della scalata, «partendo dalla valle di San Lucano
occorre dapprima infilarsi
nel "boràl" che divide la prima dalla seconda Pala, e successivamente accostarsi allo
zoccolo. Come in altre salite
sulle Pale di San Lucano, già
in questa fase non è raro imbattersi in difficoltà che raggiungono il IV grado. Dopo i
seicento metri della via ci si
ritrova sull'altipiano della seconda Pala, dal quale ci siamo calati con una doppia sull'altro versante e abbiamo
raggiunto Cencenighe ». Si è trattato di una salita
impegnativa? «Avevo già percorso la via
nel 1995, ma ne avevo conservato un ricordo diverso. Sebbene non tutti i passaggi siano classificabili di VI grado,
la progressione è sempre continua. La roccia si presenta
bella e solida, ma una delle
difficoltà principali è costituita senza dubbio dall'innevamento, che specialmente sullo zoccolo ci ha dato molto fastidio».
Cosa ci racconta di lei e
della sua passata esperienza di alpinista?
«Ho trentaquattro anni ed
abito a Treviglio. Sono accademico del Club alpino italiano ed ho compiuto numerose
ascensioni nelle Alpi Orientali ed Occidentali, dal Pilone
Centrale alle Grandes Jorasses. Mi piace girare un po'
dappertutto, ma preferisco decisamente l'ambiente Dolomitico, e negli ultimissimi anni
ho trovato nella Valle di San
Lucano un ambiente tranquillo ed ideale per il tipo di alpinismo che prediligo. Ho molti
progetti per il futuro e sogni
nel cassetto, ma per il mio carattere sono abituato a cambiarne quasi uno ogni mezz'ora».
Quali sono le sue preferenze per quanto riguarda
gli ambienti di scalata? «Ogni via alpinistica possiede le sue peculiarità ed ogni
volta la salita lascia qualcosa
dentro. Spesso mi chiedono
quale sia la mia via preferita,
ma per me sono tutte importanti, poiché ognuna di esse
costituisce una storia a parte.
In molti casi non trascuro di
allenarmi in falesia, poiché al
giorno d'oggi questo ambiente costituisce l'ambito principale dove incontrare gente e
scambiare preziose esperienze».
C'è stato in passato qualche momento particolarmente duro che ha messo
particolarmente alla prova
il suo impegno? «Ho in serbo dei ricordi
molto emozionanti ambientati nella zona dell'Agner, soprattutto sulla via del Cuore
e la via Bee, la direttissima
sul pilastro ovest aperta dall'alpinista bellunese Riccardo
Bee. A mio parere si tratta di
uno dei maggiori capolavori
di tutte le Dolomiti, e bisogna
anche tenere presente che essa venne aperta per la prima
volta in solitaria». Come considera l'arrampicata in artificiale? «La accetto volentieri. In
passato sono stato a scalare
sulle pareti di El Capitan nel
parco dello Yosemite, ed ho
dovuto adottare una progressione in artificiale perché in
libera non sapevo andare
avanti. L'importante secondo
me è non bucare la roccia ed
usare gli spit, ma anche un artificiale fatto bene, del tipo
praticato ad esempio da Georges Livanos sulle Dolomiti, rimane senza dubbio un'arte.
In ogni caso è qualcosa che fa
parte della storia, e da cui
non è più possibile prescindere».
La montagna è un diritto
per tutti, oppure è bene che
ci vadano solo gli esperti?
«Tutti hanno il diritto di
frequentare la montagna per
imparare, ed anch'io del resto la prima volta che sono
stato in un ambiente d'alta
quota non ero ancora preparato. La montagna è a disposizione di tutti, ma lo stesso bisogna andarci con una certa
attenzione. Io stesso amo percorrere le vie ferrate quando
ho voglia di farmi un giro in
tranquillità, ma penso che
l'importante sia non fare un
uso eccessivo di mezzi tecnologici quando si scala. Ferrate e vie chiodate comunque
sono una realtà della montagna, un po' come i porti al mare: si può pensare al massimo
di evitarle, non di poterle eliminare»
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