La nuova via di
San Michele passa per un Monastero colorato di un bel rosso
Pochi
giorni fa, nella splendida
Cantina Clesiana, del Castello del Buonconsiglio è stato
presentato "Monastero", il
nuovo vino rosso, vino destinato, assieme alla sua versione bianca che uscirà il
prossimo anno, a tracciare
la nuova via seguita dalla
Cantina dell'Istituto Agrario di San Michele all'Adige. La scommessa fatta per il
Monastero Rosso, è sul massiccio impiego di Cabernet
Franc ed una piccola percentuale di Merlot per arricchire ulteriormente il vino
di morbidi tannini. Parlavo
di scommessa perché si riteneva il Cabernet Franc per
il Trentino,
una uva poco adatta viste le sue
caratteristiche di spiccato gusto
e profumo
erbaceo
che portano ad un vino decisamente verde e a questo tipo di
uva si preferiva il più quotato per il
Trentino Cabernet Sauvignon, non si era fatto i conti
però che i cloni che circolavano in trentino identificati
come Franc in realtà erano
di Carmener, un errore diffuso nella nostra provincia
dai vivaisti ancora ad inizio
secolo e da allora puntualmente diffuso. E' bene sottolineare le diverse caratteristiche di quest'ultima uva
che dona al vino caratteri
molto speziati, ideali per la
maturazione in barrique
(piccoli botti di rovere tostato di 225 litri) e per il successivo affinamento in bottiglia. Il Monastero Rosso si
presenta di colore granata
intenso e vivace, al naso netto profumo di pepe e di cacao e note balsamiche che ricordano l'eucalipto, in bocca pieno leggermente astringente, buona persistenza e
lunghezza, il vino denuncia
la giovane età del vigneto
da cui proviene ma è un sicuro riferimento di longevità e di interesse da parte
del consumatore per la tranquillità di vita futura della
bottiglia. Siamo sicuri che
le edizioni successive di questa tipologia di vino non potranno che migliorare. Buoni anche gli altri vini prodotti dalla Cantina dell'Istituto Agrario di San Michele
all'Adige, come il Castel
San Michele Bianco e Rosso, lo spumante Riserva del
fondatore
Edmondo
Mach, il
sempre
buon Moscato Rosa
e la splendida vendemmia tardiva
Prepositura, rappresentano il
miglior biglietto da visita per Enrico
Paternoster, l'enologo che
dirige la Cantina. Alla presentazione di Monastero si
sono scomodati il Presidente della Giunta Provinciale
Lorenzo Dellai, l'Assessore
all'Agricoltura Dario Pallaver, oltre ai vertici dell'Istituto incominciando dal Presidente Giovanni Gius al Direttore Generale Alessandro Dini, una presenza significativa che bene ha rappresentato il nuovo nato dell'enologia trentina. Ora che
anche l'Istituto Agrario di
San Michele all'Adige, ha
rinnovato lo sforzo verso
l'alta qualità.
Un
Vezzena ancora più che stagionato: antico
Molti
pregi sorprendenti per un formaggio che, unico neo, è ancora
senza la Dop
Nella tradizione casearia trentina il
Vezzena può essere considerato uno dei formaggi trentini più
antichi, unico neo non ha ancora ottenuto la DOP, ma fa parte
degli alimenti selezionati da Slow Food ad appartenere ai prodotti
italiani da salvare. Il Vezzena si presenta a pasta giallo
paglierino, tendente a caricarsi di colore specialmente nel
formaggio stagionato, il più buono è invecchiato per almeno un
anno. Un tempo, il Vezzena faceva le veci del grana ed era
impiegato per essere grattugiato specialmente per insaporire i
minestroni di verdura. La pasta ha una struttura granulosa e l'occhiatura
della pasta è finissima, quasi assente e la sua caratteristica è
quella di sfaldarsi. Il sapore è intenso con tendenza al
piccante.
Il
Vezzena si può ottenere solo da latte proveniente dall'altipiano
omonimo, ricco di malghe, che per nostra fortuna, dopo un periodo
di dimenticatoio, si caricano nuovamente, pertanto è frutto di
latte solo estivo di bovine che pascolano e mangiano l'erba dei
prati, inoltre per disciplinare è vietato l'impiego di insilati e
di qualsiasi conservante o additivi.
Il latte della munta serale viene raccolto e raffreddato su
piastre o in bacinelle di affioramento a doppio fondo, con acqua
corrente fino alla temperatura tra i 13 e i 17°C. La mattina
successiva il latte scremato della sera viene messo in caldaia
assieme al latte caldo della munta del mattino. Si porta il latte
crudo, miscelato delle due munte, a 34 - 35 gradi, aggiungendovi
latte innesto, più caglio di origine bovina. La cagliata viene
rotta con la lira o lo spino e dopo una sosta si procede ad una
cottura lenta con una temperatura di 45 - 46 gradi. La massa, dopo
avere riposato per circa 30 - 40 minuti, viene estratta e
sistemata in stampi di legno o alluminio e pressata sotto torchio
e rigirate 2 - 3 volte. Alla sera si tolgono gli stampi e le forme
vengono messe nelle fascere di legno e tenute in un locale umido e
caldo, per 3 - 4 giorni. La salatura avviene mantenendo le forme
in salamoia per circa 6 giorni. Le forme vengono girate una volta
alla settimana.