Pagine di Storia
4 BRAVI RAGAZZI ! |
La lunga guerra personale dei quattro «bravi ragazzi» |
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Il quarto li fotografava |
Non li hanno mai catturati. Ce l'hanno messa tutta, mobilitando persino l'esercito, ma i «bravi ragazzi» sono sempre riusciti a fuggire. Avevano due grandi vantaggi, con i quali compensavano l'assoluta disparità di forze in campo. Agivano nelle loro valli, la Pusteria e l'Aurina, valli di cui conoscevano ogni baita, ogni anfratto, ogni ruscello, ogni bosco. E giocavano in casa, perché la popolazione era tutta con loro. Dall'altra parte, è vero, c'era l'esercito italiano. C'erano gli alpini, i finanzieri, i carabinieri, i poliziotti. C'erano ufficiali smaniosi di catturarli, per appuntarsi al petto una medaglia. Ma gli alpini mandati a combattere i «bravi ragazzi» erano soldati di leva, ragazzini senza esperienza. E poi i quattro della Valle Aurina facevano paura, e tanta. Agivano con le tecniche della guerriglia: imboscate tipiche del «mordi e fuggi», agguati alle jeep, tirassegno contro le caserme. E bombe. Bombe cattive, bombe trappola. Eppure, non hanno sulla coscienza neppure un morto: questo dicono le sentenze. Accusati di strage (mancata strage...), sì. Condannati all'ergastolo, anche. Ma senza essere riconosciuti responsabili di omicidio. E questo, in molti non lo sanno. I «bravi ragazzi» sono conterranei e quasi coetanei: Siegfried Steger, classe 1939, Sepp Forer, classe 1940, Erich Oberleiter, classe 1941, Heinrich Oberlechner, classe 1940. Tutti di Campo Tures, tranne Oberleiter che era originario di Valle Aurina. Sono tutti poco più che sessantenni e negli anni in cui seminarono il terrore, dal 1961 al 1966, ne avevano tra i 20 e i 25. Conclusa la lunga stagione delle bombe, Oberleiter e Oberlechner sono per così dire usciti dal giro. Il capo era Siegfried Steger. Lui sì, che ha continuato la sua battaglia. A fianco di Burger e Kienmesberger anche dopo, negli anni Settanta Ottanta e Novanta. Forer, lo si è visto qua e là, ma non ha mai avuto un profilo alto. Steger, invece, è rimasto un irriducibile. Ancora oggi tuona contro l'autonomia, lo Stato, la «politica dell'oppressione in Sudtirolo ». Steger e i suoi entrano subito nella scena dell'irredentismo antitaliano e lo fanno saltandoci a piè pari. Il loro contributo alla «notte dei fuochi» del giugno 1961 è un attentato alla diga di Selva dei Molini, in Valle Aurina. Sventato per puro caso da una pattuglia di carabinieri in perlustrazione, l'attentato avrebbe subito alzato il tiro, rispetto alla selva di tralicci abbattuti. Saltano fuori i nomi di Steger e Forer, ma quando arrivano per prenderli, loro sono già fuggiti: è iniziata una vita da latitanti a ridosso del confine con la Zillertal, in Tirolo. Il copione resterà sempre lo stesso: sconfinamento, agguato e fuga. Mentre i due leader storici del primo terrorismo discutono su quale piega far prendere al movimento (Amplatz insiste su attentati dimostrativi che calamitino l'opinione pubblica internazionale, Klotz sogna una guerra di guerriglia) da Innsbruck il professor Norbert Burger, nazista convinto, sta già muovendo le sue pedine per far scoppiare tutto il Sudtirolo. I bravi ragazzi anticipano già nell'agosto del 1963 le tecniche con cui saranno messe a segno, negli anni successivi, le stragi più efferate. Sono le micidiali bombe-trappola costruite da Peter Kienesberger, perito elettrotecnico e braccio destro di Burger. Prima si abbattono i tralicci, poi si piazzano mine antiuomo tutt'attorno e quando arrivano i militari, bum, saltano in aria anche loro. E' la prima strage mancata, contemporanea alla bomba calata dal camino nella caserma dei carabinieri a Campo Tures: gli unici feriti sono due altri terroristi, portati lì per accertamenti. Quattro mesi prima, il 17 febbraio, i tre «bravi ragazzi» erano stati fermati dai gendarmi austriaci al valico del Brennero, pronti ad entrare in Italia con una Volkswagen imbottita d'esplosivo. Un'altra valigia carica di tritolo viene trovata nel loro covo di Zirl in Tirolo, ma dopo poco saranno rilasciati su cauzione. Le «truppe scelte» di Burger - che stipendia regolarmente le loro famiglie - frequentano la casa di Absam dove si è rifugiato Georg Klotz, il martellatore della Valpassiria. Anche lui sarebbe pronto a far esplodere tutto il Sudtirolo. Alla fine del 1963, gli italiani scoprono che i tre sono in realtà quattro. Oberleitner, sino ad allora semisconosciuto, viene fermato per caso. Fugge, ma deve lasciare ai carabinieri una macchina fotografica: lì sono immortalati i quattro e le loro imprese. Le prove in cambio della libertà. L'attività prosegue tra bombe trappola, attentati ai tralicci, agguati alle jeep e smitragliate contro le caserme. Il 1964 è un anno intenso: Burger vuole boicottare il primo maxiprocesso di Milano e i «Pusterer Buam» gli danno volentieri una mano. Nove agosto: bomba telecomandata contro una jeep di carabinieri ad Anterselva. Sei feriti, uno resterà cieco. Ventotto agosto, stessa storia, ma a Perca e con una mina. Quattro feriti. Tre settembre, omicidio del carabiniere Vittorio Tiralongo a Molini di Tures. L'undici settembre c'è la rappresaglia dei carabinieri a Montassilone. Vicino a Gais una pattuglia dell'Arma ha un violento conflitto a fuoco con i quattro della valle Aurina, barricatisi in paese. I bravi ragazzi riescono a scappare, l'esercito si «vendica» sul paese: tutti al muro. La prima occasione di vedere come imputati i «bravi ragazzi» è il secondo maxiprocesso di Milano: alla sbarra ci sono solo 24 dei 57 imputati, gli altri sono tutti latitanti a partire da Burger, Kienesberger e Klotz. L'accusa principale è quella di cospirazione politica, mentre il quartetto è accusato di una lunga serie di attentati compiuti in Valle Aurina, Valle Pusteria e Valle di Tures contro caserme dei carabinieri e della finanza e tralicci dell'alta tensione; attentati compiuti soprattutto nel 1963. Il processo si conclude il 20 aprile 1966: Steger, Forer, Oberlechner e Oberleiter vengono tutti condannati a 20 anni e 10 mesi. Una sentenza in fotocopia, che dà conto della convinzione dei giudici che le responsabilità dei quattro siano da mettere sullo stesso piano; in pratica, sin dall'inizio il quartetto viene visto come un gruppo inscindibile, in cui le responsabilità vanno equamente distribuite tra i suoi membri. Due mesi dopo la sentenza, altre due stragi: a Passo Vizze (24 giugno) muore il finanziere Bruno Bolognesi dilaniato da una bomba, a San Martino di Casies (23 luglio) altri due finanzieri, Salvatore Cabitta e Giuseppe D'Ignoti vengono falciati da raffiche di mitra. Ogni bomba che esplode tra Brunico e il crinale orientale austriaco porta la loro firma, ma i quattro sono inafferrabili: sospettati di tutte le uccisioni avvenute in zona, alla fine si beccheranno tutti due ergastoli e alcune decine di anni di carcere, ma senza essere riconosciuti responsabili della morte di un solo uomo. Il «vero» processo contro i bravi ragazzi è quello che si celebra nella primavera del 1969 presso la corte d'assise di Bologna; la fase più cruda del terrorismo antitaliano si è ormai conclusa, la strada verso il pacchetto e il secondo statuto d'autonomia è già stata intrapresa dopo il sofferto sì del congresso della Volkspartei a Merano. A Bologna i quattro, ovviamente latitanti, sono accusati di una lunga serie di attentati compiuti nel biennio 1966-67 in valle Pusteria, Aurina e Tures. Bombe erano state fatte esplodere a Brunico contro il bar del circolo Enal, il bar Stella Alpina, l'albergo Centrale, la sede del Dopolavoro ferroviario. Diversi altri attentati erano stati compiuti contro tralicci dell'alta tensione, mentre alla base di un traliccio della linea elettrica a Molini di Tures era stata trovata una micidiale bomba trappola, simile a quelle della strage di Cima Vallona. Questa volta, i giudici non considerano i quattro come un nucleo omogeneo e inscindibile: ergastolo per Steger, gli altri tre sono ridimensionati al ruolo di semplici gregari: sei anni di «reclusione virtuale» a testa. Una lettura processuale che verrà clamorosamente smentita in sede d'appello, due anni doppo. Il nove luglio del 1971, infatti, la corte d'assise d'appello di Bologna riforma la sentenza di primo grado, comminando a ciascuno dei quattro un duplice ergastolo, più nove anni e due mesi. Torna il teorema del «nucleo terroristico inscindibile, unitario e omogeneo». Ma la storia processuale dei «bravi ragazzi» non è ancora finita: un anno prima, infatti, a Brescia si era celebrato il processo per la bomba sul Brenner-Express: una vera e propria spy story la cui figura chiave è quella di Charles Joosten, probabile agente del controspionaggio italiano che il 15 settembre del 1964 aveva segnalato la presenza di una bomba nascosta in una valigia sul treno Bolzano-Roma, in partenza dal capoluogo altoatesino. Joosten fa i nomi di Oberlechner, Oberleiter e un austriaco, Josef Felder: saranno riconosciuti colpevoli e condannati tutti e tre a 19 anni e quattro mesi, mentre Joosten - partecipò al piano solo per sventarlo, diranno i giudici - verrà assolto. Mai pentiti, questi sono i «graziandi». Damiano Chiesa e Fabio Filzi, anch’essi uccisi nella fossa del castello. Vicino alla cella si troveranno alcuni documenti, tra i quali il testo dell’ultima lettera che Battisti dettò per il fratello. Fuori della sala del Tribunale, ai lati dell’entrata, due pannelli spiegheranno come questo luogo, antico refettorio clesiano, fu trasformato dagli austriaci nella sede per celebrare i processi e in seguito riportato agli antichi splendori con in evidenza la volta affrescata da Dosso Dossi. Vi saranno poi alcune note sui processi a Battisti e Filzi. Prima di accedere alle rampe che portano alla fossa saranno esposte le foto dell’irredentista socialista che scende le scale e si potrà leggere un testo storico sul luogo, anticamente chiamato parco dei cervi, dove vennero eseguite numerose sentenze di morte anche nel corso dell’Ottocento. Tra una rampa e l’altra, su un grande pannello, si vedrà l’intera sequenza fotografica della condanna. Sarà quindi un percorso per immagini e testo, sufficientemente conciso ed esaustivo, che permetterà di conoscere un altro aspetto del Castello, carico di storia e memoria.
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(TN) 22 Settembre 2002 |
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